La settimana di… Laila Cresta

Questa sera proponiamo un racconto di Laila Cresta che, come avrete modo di scoprire, ama cimentarsi con generi molto diversi fra loro stupendo il lettore con ambientazioni e situazioni originalissime

TE L’AVEVO DETTO! (short story di SF)

 

Il prato bianco era virtuale, un’illusione tecnologica esattamente come il nero seme che correva in lunghe fila su tutti quegli alba pratalia, i “bianchi prati” che apparivano e sparivano davanti a lei. Ad arare però era sempre lo stesso bianco aratro…

Alba sospirò e sbatté le palpebre. Le parole erano forse state più concrete, quando erano incise sulla terracotta o vergate su un foglio? E forse che a quel tempo la realtà era stata davvero più… reale? E poi, cos’era davvero “reale”? Forse, lo era solo il corpo prepotente di carne e di sangue, perennemente insoddisfatto, e acquietabile solo nel sogno…

Dalla finestra, Alba guardava le nuvole che si rarefacevano e si disfacevano, come lo zucchero filato in mano a un bambino. Erano riposanti, perché la loro evanescenza era così naturale, e in qualsivoglia posizione fossero rispetto a loro, parevano non vederli neppure, gli uomini e le donne. Le nuvole erano sopra ma anche sotto di lei, tutto attorno alla sua gondola di metallo. Alba avrebbe voluto sapere come funzionasse, quell’oggetto così silenzioso, ma nessun essere umano lo sapeva e, quel che era peggio, forse nessun essere umano se lo chiedeva più. Per quel che ne sapeva lei, la gondola era stata una specie di veicolo che trasportava (appunto: veicolava) gli esseri umani sull’acqua, da un luogo all’altro, ma lei non conosceva nessun luogo, e nessun oggetto, al di là della gondola. Solo le nuvole.

Arrivò uno dei suoi partner più frequenti, per una terapeutica seduta di sesso. Alex era di poche parole, ma gentile e delicato. Sbrigarono la faccenda senza problemi e senza lungaggini, poi lui se ne andò: la sua gondola, che si era attaccata a quella di Alba con le paratie stagne aperte e combacianti, si chiuse e scomparve. Alba sospirò. Chissà se era vero che i Controllori se ne sarebbero accorti, se non avesse fatto sesso. Non che non le piacesse, ma non le sembrava una cosa importante come si diceva, addirittura indispensabile per la salute mentale. Un tempo, secondo i suoi libri, era stata indispensabile davvero: era il modo in cui si riproduceva la razza, il modo in cui gli esseri umani producevano altri esseri umani.

D’accordo, forse Alba non era molto sana, con tutte le sue curiosità e i suoi dubbi: probabilmente per questo qualcuno aveva deciso che per lei fosse un danno coltivarli e un giorno, al suo risveglio, i libri non li aveva visti più. Ormai non sapeva neppure più se ciò che ricordava fosse vero, o se non fosse altro che un sogno. Come Oradus.

Non sapeva da dove le fosse arrivato quel nome, o quell’idea. Era qualcosa di consolante, qualcosa di luminoso. Eppure, nello stesso tempo era anche qualcosa di cupo, di pericoloso… Ma “cosa” era?

“S’interroga su di me. Non è bene. Tutte quelle storie fantastiche che leggeva le hanno fatto del male davvero” “Ma tu credi davvero che i gusci siano il modo migliore di sopravvivere, per gli uomini? Forse preferirebbero darsi da fare, anche rischiando la vita…” chiese un’altra parte dell’immenso Cervello di Oradus. Ci fu un lungo silenzio, dopo quella domanda. Poi Oradus disse/si disse, come aveva fatto tante volte: “Allo stato attuale delle cose, è l’unico modo. Gli uomini non muoiono più, non soffrono più. I gusci li tengono in vita tenendo al sicuro i loro corpi. Noi provvediamo a tenere in funzione il loro cervello. Dopo tutto, è stato il loro ultimo ordine, dopo l’ultima Guerra” “Sei sicuro che siano felici? Alba non lo è” sussurrò quella parte di Oradus che aveva creato le gondole, ma la sua voce si sentiva appena, e la parte principale del Cervello non lo udì.

“La pioggia! Ecco cosa mi manca”, pensava Alba contemplando dall’oblò quel cielo sempre sereno, con quelle poche nuvolette graziose, azzurre, e ogni tanto appena rosate, prima della notte. Le erano state recapitate le attrezzature per dipingere che aveva chiesto, e sulla tela cominciarono a formarsi i nuvoloni scuri che si mangiavano il campo bianco.

Se Oradus avesse avuto un apparato respiratorio avrebbe sospirato. No, non andava affatto bene. Vicino a lui, o dentro di lui, l’altra voce che era altro da lui e non lo era, protestava:

“Te l’avevo detto!”

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