Siamo alla penultima giornata in compagnia di Simona Burgio che ha voluto dedicare il brano di oggi a Roma, città in cui vive, studia e lavora
Roma.
La maggior parte di “Insomnia” è stata scritta a Roma. Roma è la città che mi ha adottata durante gli anni da matricola, e in cui poi mi sono stabilita. Dopo il primo anno vissuto vicino a Nomentana, mi trasferii nella famosa via Casoria al civico 7. Quella Roma lì, è la Roma che porto nel cuore, e sempre porterò. In quell’appartamento di parquet e sportelli verdi, sono stata viziata. Ci ho vissuto sette anni, ho cambiato tante coinquiline, e ho un ricordo vivido di tutte. Un ricordo bellissimo, anche di quei momenti in cui pensavo di vivere ai confini della realtà. Gli ultimi tre anni di quei sette, ho vissuto insieme alle “Giulie”, dico io. Tra di noi avevamo un legame forte, eravamo diventate amiche. È per questo che, quando due di loro si trasferirono rispettivamente in altre città, affrontammo tutte quante un periodo di cambiamento profondo e anche un pizzico sofferenza che ognuna esternava in un modo tutto suo. Eravamo già molto più grandi, quando io mi trasferii al civico 16 della stessa via, con un’altra amica. Così gli anni in via Casoria diventarono dieci. Avevo passato dall’essere ventenne a trentenne nella stessa città, nella stessa via.
Roma è una città molto grande, policentrica, piena. La sua stratificazione, di stranieri e di italiani proventi da regioni diverse, la rende città eterna anche in un diverso senso: la rende cittadina del mondo.
Con Roma però non è stato colpo di fulmine, diciamo che siamo uscite un paio di volte, per conoscerci. Certe volte non mi divertivo tanto, ma non c’era ragione per mollarla. Poi come in qualsiasi relazione, “è capitato”: ci siamo innamorate.
Non è stato un amore folle, incondizionato, mi ha solo dato tutto quello che serviva per farmi stare bene. Le persone giuste, il cibo giusto, il sapore del cappuccino giusto, e anche se “mai si fa e mai lo farai”, la possibilità di andare a bere un cocktail all’Icebar. E altre cose assurde che non fai, ma sai di poter fare.
Non è mai tutto rosa e fiori a Roma. Perché il suo esser così immensa, spesso ti porta a soffrire. Solo se non si è nati qui io credo.
Dico sempre che un cittadino di Roma può ambientarsi ovunque se lo vuole, e se per indole è incline a certe abitudini. Un cittadino di Roma potrebbe star molto bene a Porto Empedocle, anche in inverno!
Un empedoclino, invece, che viene da una realtà piccola, si innamora sì, ma ha un po’ più di difficoltà.
Credo che la metafora perfetta, per riuscire a farvi capire come io mi senta a Roma, è raccontarvi una storia.
I primi anni a Roma, ci trasferimmo in tre, tre cari amici da un bel po’ di anni.
Io andai a vivere con Giulia e Peppe, andò a vivere a circa un’ora, in metro e bus, da casa nostra. Ma ci vedevamo molto spesso. Eravamo e siamo tutt’ora grandi amici tutti e tre.
Mi ricordo qualche mese prima del trasferimento, io e Peppe ci trovavamo a fumare una sigaretta nel balcone di casa sua. Era pomeriggio. E lui felice mi disse: “il mercoledì sarà la nostra serata, noi tre ogni mercoledì faremo la cena.”
Io risi. E tra me e me pensai: “esagera come sempre, si talia troppi telefilm!“
Non ci fu mai il mercoledì fisso. E quella che ne soffrì di più fui io.
Contrariamente a quanto mi aspettassi, poi mi ritrovai a pensare a quanto sarebbe stato bello avere il mercoledì nostro.
Noi però ci vedevamo spessissimo, tanto da dormir sempre a casa insieme (un’ora di mezzi, un’ORA!). Ma il mercoledì, il mercoledì non lo istituimmo mai come tradizione nostra. Ne avevamo altre. Ma non il “mercoledì fisso”.
Ma io ogni tanto, ci speravo. Per aver qualcosa di “sicuro”, in questa grande città, penso.
Nonostante ciò poi mi sono scelta un romano come fidanzato.
Roma non puoi non amarla, in qualsiasi modo tu decida di “metterla.”